BURNOUT E FIORI DI BACH

di Maria Chiara Verderi

 

Il termine burnout (dall'inglese "bruciato", "scoppiato") viene coniato dai giornalisti sportivi anglosassoni negli anni '30 per descrivere la situazione di un atleta che, dopo una serie di successi, a causa del venir meno degli stimoli motivazionali, pur essendo in ottima forma fisica non è più in grado di ripetere i precedenti risultati.
Trasposto in ambito psicologico, questo termine viene utilizzato per indicare particolari situazioni critiche in ambito lavorativo, specialmente per quanto riguarda le professioni ad elevata implicazione relazionale.
Lo psicologo Herbert Freudenberg per primo nel 1974 utilizza questo termine per descrivere le condizioni di esaurimento fisico ed emotivo riscontrata tra gli operatori impegnati nelle professioni d'aiuto. In queste professioni gli operatori si fanno carico di grandissime responsabilità e sono costretti ad orari prolungati e ritmi di lavoro molto intensi. Inoltre il contatto con la sofferenza dell'utente è continuo e richiede una non comune capacità di prendersi carico del dolore altrui. L'esposizione a troppe emozioni, soprattutto negative ed intense, porta l'innescarsi di presupposti che favoriscono lo stress.
Gli studi più approfonditi sul burnout nella sanità sono stati condotti dalla dottoressa Christina Maslach a partire dal 1982.
La dottoressa Maslach evidenzia tre categorie di sintomi che evidenziano la fase conclamata della sindrome del burnout:
  1. comportamenti che testimoniano un forte disinvestimento sul lavoro (assenze, ritardi frequenti, alta resistenza a recarsi al lavoro, scarsa creatività, resistenza ai cambiamenti,...).
  2. comportamenti autodistruttivi (disturbi di carattere psicosomatico o del comportamento, diminuzione delle difese immunitarie, senso di stanchezza ed esaurimento, depressione,  senso di colpa, apatia, irrequietezza, insonnia, nervosismo, vere e proprie patologie come ulcere, cefalee, difficoltà sessuali, aumento o diminuzione ponderale,  aumento della propensione agli incidenti,...)
  3. comportamenti distruttivi diretti all'utente (indifferenza, violenza, crudeltà, cinismo, spersonalizzazione,...)
Gli psicologi del lavoro già da molti anni hanno notato che il contesto sociale e lavorativo, principalmente quello degli operatori dell'aiuto, è quello maggiormente in grado di attivare risposte di stress sia dal punto di vista comportamentale sia da quello fisiopatologico.
La sindrome del burnout, tuttavia, si differenzia dallo stress (che infatti può, al più, essere una sua concausa) e anche dalle diverse forme di nevrosi in quanto non può essere considerato un disturbo della personalità. Deve invece essere considerata una malattia correlata principalmente all'attività lavorativa e come tale da prevenire in quanto conduce inevitabilmente ad una diminuzione delle capacità professionali.
Poichè tutte le attività lavorative implicano contatti interpersonali e quindi un certo livello di tensione, oggi non si fa più riferimento solamente al rapporto tra operatore dell'aiuto e utente bensì al rapporto di qualunque professionista con il suo lavoro. Oggi, infatti, si parla di Job Burnout.
Secondo la dottoressa Maslach le cause possono essere ricondotte a tre grandi variabili:
  1. VARIABILI ORGANIZZATIVE - riguardano le modalità di funzionamento dell'attività e possono svilupparsi quando si verifica una decisa discordanza tra la natura del lavoro e quella della persona che svolge il lavoro. Ad esempio: sovraccarico di lavoro, mancanza di controllo sul proprio lavoro, mancanza di riconoscimenti, mancanza di equità, conflitti di valori, scarsa integrazione sociale,....
  2. VARIABILI INDIVIDUALI - sebbene non esista una personalità-tipo, possono però essere individuate una serie di caratteristiche che rendono la persona più predisposta al burnout: ansia, stile di vita competitivo, rigidità mentale, introversione, bassa autostima,...
  3. VARIABILI SOCIALI - sono i fenomeni sociali tipo il progressivo sfaldarsi del tessuto sociale  che, a causa del declino della vita comunitaria e della famiglia patriarcale, ha comportato la riduzione o la scomparsa degli spazi di sostegno informale rappresentati da parenti, amici, persone con cui era possibile condividere affetti e interessi e che rappresentavano un punto fermo di sostegno importantissimo. Tutto questo comporta una maggior fragilità negli individui.
Le conseguenze sono, sempre secondo la Maslach, uno stato di esaurimento emotivo, di depersonalizzazione e di ridotta realizzazione personale.

Il burnout è un processo che non si manifesta improvvisamente ma si instaura in modo talmente graduale che chi ne è soggetto spesso ne è inconsapevole, sente che qualcosa non va ma a volte non è in grado di quantificare o qualificare il suo disagio e continua a lavorare cercando di ignorare questa sensazione. Il rischio, purtroppo, è più elevato nelle persone maggiormente dotate di capacità personali e che idealizzano il proprio lavoro. Possiamo quindi immaginare la portata del problema in ambiente ospedaliero, un ambiente in cui la cura delle persone sofferenti è il punto centrale e in cui non ci si può permettere di perdere questo tipo di operatori.
Il processo di insorgenza si sviluppa in quattro fasi distinte:
  1. ENTUSIASMO IDEALISTICO - le motivazioni che hanno spinto la persona a scegliere proprio quel tipo di lavoro
  2. STAGNAZIONE - quando si scopre che il lavoro non soddisfa del tutto i bisogni dell'operatore per cui si passa da un superinvestimento iniziale ad un graduale disimpegno
  3. FRUSTRAZIONE - in questa fase il pensiero dominante è quello di non essere più in grado di aiutare nessuno
  4. DISIMPEGNO EMOZIONALE - si verifica un graduale passaggio dall'empatia all'apatia. Questa è una vera e propria morte professionale dell'operatore.
La sindrome del burnout non riguarda solo la persona che ne è soggetta ma si comporta come una specie di malattia contagiosa che si propaga da un operatore all'altro. Ci si può facilmente rendere conto che in casi del genere le conseguenze avranno un forte impatto a livello degli operatori, a livello dell'utenza, a livello dell'azienda e a livello dell'intera comunità.
Proprio per questi motivi l'obiettivo cui ogni azienda dovrebbe mirare è quello di individuare e trattare al più presto i lavoratori sofferenti, rilevare l'effettiva diffusione del problema, offrire agli operatori corrette informazioni e una formazione adeguata per far fronte al fenomeno, promuovere spazi dedicati alla conoscenza di se stessi, delle proprie aspettative, dei propri punti di forza e debolezze, promuovere corsi per aumentare le competenze emotive e istituire gruppi di ascolto e di auto-mutuo-aiuto.
Ogni operatore dovrebbe imparare a riconoscere i propri limiti nella gestione delle sofferenze altrui e, in caso di dubbi, cercare aiuto.

Molti sono gli strumenti che possono essere utilizzati per la prevenzione di questo fenomeno: interventi psicologici e di counseling, tecniche corporee, tecniche di modulazione dello stress.
I Fiori di Bach sono un'eccellente strumento di riequilibrio degli stati emotivi, quindi, per questo problema come per molti altri, possono aiutare e affiancare armoniosamente ogni altra tecnica e cura.
La semplicità del metodo originale del dott. Bach lo rende uno strumento facilissimo da apprendere e che è possibile utilizzare in completa autonomia. D'altra parte questo fu uno dei più grandi desideri del dott. Bach: mettere ogni persona in condizione di poter aver cura di sè per ottenere serenità e benessere.
Nel 1936 a Wallingford, durante una conferenza, dichiarò: "Questo sistema terapeutico è stato realizzato, divulgato e donato gratuitamente affinchè tutti possano curare se stessi". 
E' un metodo sicuro e senza controindicazioni, non interagisce con le cure mediche o psicologiche o con i farmaci.
Basta individuare gli stati emotivi che procurano disagio e concentrarsi solamente su quelli, ignorando i sintomi fisici, per poter comporre un bouquet di rimedi adatti ad ogni possibile alterazione emotiva. Questo è il metodo originale che il dott. Bach ha messo a punto grazie ad anni ed anni di attenti studi e pazienti osservazioni e che il Bach Centre tramanda e divulga in tutta la sua originalità e purezza.
I Fiori di Bach sono entrati nel nostro Hospice da parecchi anni oramai. Sono presenti in ciotole d'acqua nelle camere di ogni degente, sono presenti in ciotole nei locali delle infermiere, amici discreti e benevoli, sempre a disposizione di chiunque ne faccia richiesta, in qualsiasi momento.

Stefan Ball nel suo libro "Floriterapia di Bach" scrive:
"I rimedi floreali del dott. Bach, noti in Italia con il nome suggestivo di Fiori di Bach, sono in tutto 38 e ciascuno interessa un particolare stato mentale o emotivo. Non curano direttamente la malattie a livello fisico, ma ripristinano una condizione di armonia mentale grazie alla quale le naturali difese dell'organismo possono svolgere più efficacemente il proprio compito." 
"I Fiori di Bach costituiscono un sistema completo, perchè trattano le emozioni e non gli eventi che provocano. Non sono rimedi di oggi, di ieri o del futuro, ma sono sempre validi". 


Maria Chiara Verderi

 

fonti:
Burnout - C. Maslach, M. Leiter, F. Pellegrino, A. Valdambrini, G. Contessa, M. Tronci, F. Lamanna, D. Galati, O. Fassio, M. Viglino
Fiori di Bach - E. Bach, N. Weeks, S. Ball
 



 

LA REGINA NERA

di Achille Tironi - Volontario AHMIS (Amici Hospice Malattie Infettive Sacco)





"La Regina". Le avevo appiccicato questo soprannome non appena incontrata. Trascorse con noi pochi giorni, giusto il tempo di fare conoscenza. La malattia se la portò via di corsa, così come ce l'aveva consegnata, senza rumore, lasciando anche in me un ricordo indelebile e per niente superficiale.

L'avevo avvicinata "seduta in trono", bellissima, nera come l'ebano. Avvolta in una vestaglia scarlatta che le scendeva fino ai piedi, aveva preso posto sulla poltrona con la spalliera alta. L'aveva voluta a ridosso della finestra e rivolta all'ingresso della camera.

L'avorio dei denti, il bagliore degli occhi e il pallore delle unghie trapuntavano di luce la sua persona.

Lei rimase sorpresa dal mio ingresso fuori protocollo: mi ero avvicinato a lei con un sorriso garbato e la mano slanciata per una stretta cordiale. Nello slancio colsi sul suo volto un "Ma dove sono finita?". Il dado era tratto e non potevo più bloccarmi senza rivelare il mio disagio.

Nella stessa mattinata già altri le avevano ronzato intorno accesi da premure diverse, ma nessuno aveva ancora osato avvicinarla con un "Ciao, benvenuta! Sono un volontario, mi chiamo Achille".

B. esitò un attimo ma si adeguò prontamente stringendomi con forza la mano. Al distacco la sua mano mi invitava a prendere posto sulla poltrona alla sua destra. Avevo osato troppo: ora dovevo ubbidire e stare a sentire.

Parlava un italiano perfetto. Il tono risoluto conferiva alle sue parole un non so che di perentorio senza essere soverchiante. Parlava e il suo dire chiedeva approvazione anche quando esprimeva richieste o poneva interrogativi. L'attitudine al comando era entrata in circolo, era in lei sangue e linfa.

Non mi parlò di lei, o almeno non lo fece come accade a me quando srotolo i ricordi, confido le mie emozioni. Non parlava di sè ma della storia, ne forniva una lettura filosofica, ne rivelava il senso guardando alla sua vicenda come a un'interpretazione riuscita, variazione su un tema al quale lei aveva aderito con tutto il cuore.

Emanava dalle sue parole il fragore di eventi che avevano dato forma alla sua giovinezza e segnato la sua maturità. Eppure tutto mi era offerto senza rammarico: una consegna inattesa, uno squarcio di chiarezza interiore, il sapore di un frutto maturo.

Lei, nel suo essere lì accanto a me, era concreta luce che ne rischiarava la comprensione, lei nata per essere lievito e consistenza, sorgente di prosperità, presenza totalizzante.

Lei ora, come una fiera ferita, accovacciata e senza lamento, puntava ancora gli occhi sulla savana prima che il sole li accendesse con i colori del tramonto.

Io stavo zitto, attento e registravo anche le pause di un racconto, così lontano dalla mia esperienza. Al momento percepivo quel profumo che emana dai libri di favole, di quelle che hanno sempre un bosco oscuro, una notte senza luna, l'orco e gli stivali delle sette leghe. Favole che non incutono angoscia e terrore ma ti avvolgono di tenerezza e tepore.

Avevo conosciuto i volti della sua famiglia, avevo sentito la voce del padre e del suo popolo, mi aveva fatto sporgere su catastrofi mostruose e, risparmiandomi ferite fisiche ed economiche, mi aveva accompagnato in fughe e percorsi di salvezza. Con lei avevo sperimentato cadute e riprese.

Impavida, nulla poteva ferirla: lei era espressione riuscita di uno slancio di grandezza che le batteva ancora nelle vene.

Conosceva ormai tutto della sua malattia e dell'appuntamento cui non poteva sottrarsi, dal giorno dello schianto sull'autostrada di S.Marino.

Non ricordo come feci ad alzarmi da quella poltrona ma, la notte, rivisitai il racconto e finii per accostarlo a parole sante e audaci:
"Quanto a me, il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele. Ho combattuto una buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione".

Quattro giorni più tardi, al corrente dell'aggravarsi del suo stato, venni a sapere che B. era vegliata dalla sorella, venuta da un paese europeo.

Entrato nella stanza trovai B. distesa nel letto, composta, gli occhi ancora luminosi, la bocca serrata. Salutai con un cenno del capo la signora che stava seduta immobile ai piedi del letto e, avvicinandomi a B. le presi la mano accarezzandola dolcemente.

Si alzò di scatto come per fermarmi ma si arrestò e si ricompose seduta non appena un respiro di gratitudine sollevò il petto di B. e con la mano mi toccò la fronte.

Rimasi vicino a lei tenendole la mano fino quando gli occhi divennero pesanti e il respiro si fece calmo e ritmato.

Ebbi modo di parlare con la sorella e fu lei ad aiutarmi a comprendere meglio la situazione per essere di conforto all'anima orgogliosa e provata della primogenita del capo di un popolo.

Continuai a portare nella sua stanza l'unico Fiore di Bach che avevo fino a quel momento suggerito come utile (Water Violet).

Avevo, infatti, incontrato una persona rara che aveva bisogno solo di tenerezza e la mia presenza fu sua compagna negli ultimi giorni.





Achille Tironi     

Passeggero vai, non avere paura!

di Achille Tironi - Volontario AHMIS (Amici Hospice Malattie Infettive Sacco)




L'avevano accompagnato da noi a fine mattinata, dopo un passaggio animato per il "Pronto Soccorso". Giunto da poco, già si trascinava per qualche momento fuori dalla camera lungo i muri del corridoio, con un incedere incurvato, strisciando sui piedi.

Ci eravamo accorti che nel reparto non avevamo un letto capace di contenere distesa la sua lunghezza. Guardavo "sua altezza", la sua corporatura esile e scavata, mentre lentamente si allontanava. Maglietta e pantaloni, più che indossati, figuravano posti su uno stenditoio di fortuna.

Lo sguardo tratteneva fierezza ma segni di delusione solcavano la maschera del viso contratto e poco disposto al sorriso. Percepivo lo stridore di pensieri ruvidi che, dibattendosi, gli graffiavano l'animo e non concedevano riposo alla mente. Era esausto e, impossibilitato a fuggire altrove, misurava a spanne la strana gabbia che si era trovato intorno.

Portai in camera sua la ciotola con i Fiori che avevo preparato per aiutarlo ad avere ragione dello chock che doveva aver provato passando l'ingresso dell'Hospice. Rescue Remedy, poi Mimulus per vincere la paura e Water Violet per evitare il rischio di una chiusura in sè. Buttai l'occhio in giro in cerca di un appiglio che mi permettesse di sollevare il mio volto all'altezza del suo e addolcire il suo sguardo. Appesa e quasi del tutto nascosta dalla porta, avevo riconosciuto la maglia ufficiale delle partite internazionali.

Milan! Milan! Lanciai in corridoio il roco eco della curva nord capace scaricarti da ogni altro pensiero, vibrando all'unisono con la struttura dello stadio.

Un sorriso ampio accolse il mio cinque e, senza una parola in più, gli sfuggii strisciandolo e camminando deciso nella direzione opposta, proprio come se fossi atteso altrove. L'aggancio era riuscito.

Lo ritrovai, di ritorno, sull'ingresso della camera, orgoglioso per la maglia della quale avevo intravisto solo il bianco e i colori sociali. Me ne mostrava il dorso, distendendola all'altezza del mio viso: 92 EL SHAARAWY e la firma autografa del "Faraone".

Due giorni più tardi accolse refrattario il mio invito per una passeggiata nel parco. Sentiva il bisogno di riposare e soffriva sul fianco sinistro: mi accordai per due ore più tardi avventurandomi in un colloquio reso impraticabile dalle mie carenze linguistiche. Avevo però appreso l'indispensabile.

O. veniva dalla Nigeria, aveva 33 anni, era solo, la corona del rosario al collo, la Bibbia sul tavolino, un intervento invasivo alle spalle, il presente in un dormitorio di periferia, nessuna voglia di ritornare a casa. Destinazione Inghilterra.

Restò con i suoi pensieri, disteso sul fianco sinistro, le gambe contratte ed i piedi fuori dal letto. Gli occhi erano aperti, senza fissare la parete; li attraversava una densa nebbia di delusione che non voleva svanire.

Lo lasciai cercando dentro di me le parole del bellissimo canto con cui Giosy Cento si china con commovente dolcezza sul lacerante distacco che ogni giorno si consuma davanti ai nostri occhi senza scuotere la nostra indifferenza.

Tu sei la mia sorgente, sei la stella mia,
mi hai partorito un giorno, sei la mamma mia,
a piedi nudi e freddi ti ho calpestato
e tu mi hai sussurrato: un fiore bello è nato.

Tu sei mia sorella, sei la mia ragazza,
ci siamo fidanzati un giorno sulla sabbia.
In tasca i pugni stretti per sentirmi forte,
ho alzato la mia vela e ho pregato il Vento.

Terra, guardo il mare e vado via,
nei miei occhi solo tu,
il vero grande amore, il cielo su di me,
uno strappo di dolore che mi porta via da te
e il vento è nostalgia di chi ritornerà. (1)

Abbiamo trascorso insieme il pomeriggio fino all'ora della terapia serale. Un passo dopo l'altro, taciturno ma con gli occhi attenti, si è portato via di me più di quanto potessi prevedere. Gli ho mostrato tutta la struttura dell'Ospedale, Università compresa, con l'intento di accendere in lui fiducia e contrastare la resistenza originata da esperienze che lo avevano segnato negativamente.

Mentre sorseggiava un'aranciata al bar dell'Università guardava ragazze e ragazzi, appena più giovani di lui, a cui la vita offriva possibilità di cui non si rendevano conto. Teneva tra le mani la lattina vuota, la appoggiava e poi la riprendeva. Lui stesso era chiamato a dover conferire peso a situazioni e cose con un'urgenza che non consentiva esitazioni. Anche la mia persona gli creava interrogativi che non riusciva ad esprimere.

I suoi giorni erano stati amari  e avari di dolcezza, sperimentando sulla sua pelle ciò da cui noi volontari dovremmo sempre guardarci. Quando ci facciamo strada, ci avvantaggiamo servendoci proprio di coloro per i quali la vita è già troppo pesante, aggiungiamo peso al peso. Il ricevere, pure se abbondante, in questo caso mortifica, cancella il sorriso e spegne i sogni.

Seguirono giorni in cui risultò arduo, e per lui doloroso, medicare la sua anima che gridava aiuto. Ritenemmo per lui indicati nuovi Fiori: Walnut per accogliere la nuova situazione; Oak per favorire l'affidamento alle persone che promettevano di accompagnarsi a lui.

Al corrente della sua diagnosi trovò grande difficoltà a prendere atto di una prognosi che lo inghiottiva senza scampo. Il progredire del male e il venir meno delle forze lo convinsero molto presto dello sfiorire di ogni possibilità e gli proponemmo i Fiori Rock Rose e Sweet Chestnut per aver ragione del terrore e dell'angoscia che una simile presa d'atto comportava.

I suoi giorni, attraversati da un dolore e da un'ansia indomabili, divennero insopportabili. Favorimmo per qualche giorno il suo rientro presso la Comunità che lo aveva ospitato prima del ricovero, pronti a riaccoglierlo quando l'ansia e il dolore divennero incontenibili.

Ospitammo la sua persona, la sua rabbia (Holly) e il suo risentimento (Willow) motivati dal sospetto che non fosse stato fatto tutto il necessario per lui. Cercammo la sua comprensione (Beech) perchè ci consentisse di stargli vicino nell'ultimo tratto di un viaggio diretto ad una diversa meta.

Passeggero vai, non avere paura
la tua alba è sempre accesa
e il sole ti fa strada. (2)




 Achille Tironi

(1) Giosy Cento: "La Vela e il Vento"
(2) Giosy Cento: "Passeggero

BUON NATALE!

di Maria Chiara Verderi

 




Questo Natale sotto l'albero, anzi sotto questo link, troverete la traduzione del libro del dott. Edward Bach "I dodici guaritori e altri rimedi" che la Fondazione Bach ha voluto curare e che ci ha donato.
Potrete scaricare, stampare, leggere, rileggere, spilluzzicare e assaporare in tutta tranquillità le sue parole ogni volta che ne avrete desiderio.
Il mio augurio per questo Natale è che voi possiate essere toccati dalla gentilezza, dalla calda umanità e dalla saggezza del dott. Bach così come ne sono stata toccata e continuo ad esserne toccata io!

Con i miei migliori auguri per un Natale veramente sereno e gioioso!

Maria Chiara



STRESS E FIORI DI BACH

di Maria Chiara Verderi



Che cos'è lo stress? Lo stress (dal latino "stringere") è la pressione esercitata su di un oggetto, tale da danneggiarlo o fargli perdere la sua forma; nell'ingegneria meccanica è la proprietà di un metallo di sopportare la torsione e la trazione. Questo termine è stato preso a prestito dalla psicologia ed è diventato di uso comune per tutti noi.
Hans Selye fu il primo che iniziò a studiare lo stress nel 1936 circa. Selye definì lo stress come la reazione non specifica degli organismi viventi a fattori esterni nocivi.
La reazione allo stress non dipende, secondo lui, dalla natura dello stimolo ma dalla sua rilevanza per l'individuo. Definisce lo stress anche come Sindrome Generale di Adattamento e distingue in essa 3 fasi:
  1. FASE DI ALLARME: di fronte a uno stimolo reputato come un pericolo, ogni oganismo avvia una mobilizzazione delle sue risorse per far fronte e neutralizzare la minaccia.




  2. FASE DI RESISTENZA: se nonostante la reazione messa in campo la situazione minacciosa persiste, l'organismo mette in atto una strategia di resistenza in cui le risposte vengono accentuate e stabilizzate

  3.  FASE DI ESAURIMENTO: se, nonostante tutti gli sforzi messi in atto la situazione persiste, l'organismo non avrà più risorse disponibili. Questa situazione può, alla lunga, portare danni all'organismo che potranno essere transitori ma anche portare alla morte.


 Nel 1938 il dott. Walter Cannon nel suo libro "La saggezza del corpo" introduce il concetto di OMEOSTASI e cioè la proprietà dell'organismo di mantenere le proprie funzioni interne (Ossigeno, glucosio, temperatura, ph,...) entro valori accettabili. Questo concetto viene da lui inoltre esteso alle minacce psicosociali.
Di fronte a minacce o bisogni la risposta dell'organismo può richiedere non solo l'attivazione di processi fisiologici interni ma anche l'adozione di comportamenti ed azioni opportune da parte dell'individuo.
Lo stress è la risposta a tutto ciò che minaccia gli equilibri omeostatici. In sè non è qualcosa di negativo bensì è l'insieme dei processi che hanno come fine quello di preservare condizioni di equilibrio sia interne all'organismo sia dell'organismo stesso con l'ambiente esterno.
Quindi, secondo Cannon, quando siamo in presenza di uno stimolo stressante:
  • Si verificano modificazioni sul piano fisico il cui fine è quello della produzione ed allocazione rapida dell'energia necessaria a sostenere la risposta
  • Si attiva inoltre l'attivazione di un profilo comportamentale idoneo alle necessità contingenti
La ricerca sullo stress nel corso degli anni è andata avanti ed oggi abbiamo una visione che riesce ad integrare le varie posizioni
  1. lo stress è il tentativo di mantenere un equilibrio eliminando o riducendo la discrepanza tra una situazione reale o temuta e una situazione accettabile o ritenuta tale. Di fronte a qualcosa che ci minaccia c'è una richiesta di ripristino delle condizioni di equilibrio che deve essere soddisfatta e l'organismo si attiva in tal senso
  2. lo stress non è un fenomeno eccezionale o marginale. Le vie dello stress sono costantemente attive sia che l'individuo sia cosciente delle fonti di stress sia quando ne è inconsapevole. Lo stress è costantemente presente e fa parte del nostro comportamento. Se però la reazione è troppo attiva è facile che possa dar luogo a effetti secondari
  3. lo stress non è una reazione aspecifica come riteneva Selye. I circuiti che consentono di attivare la risposta sono diversi e diverse le modalità di risposta. (Asse ipotalamo-ipofisi-surrene, via chimica che attiva la produzione di cortisolo. Sistema ormonale midollare del surrene- produzione di adrenalina. Sistema nervoso simpatico- produzione di noradrenalina) Per ogni fonte di stress i cambiamenti sono associati a comportamenti più o meno articolati.
Nel 1988 Bruce McEwan introduce il concetto di ALLOSTASI.
Se omeostasi significa tornare al medesimo stato di prima, l'allostasi è l'ottenimento della stabilità attraverso il cambiamento.
Noi non siamo una realtà statica nè lo è il mondo intorno a noi, perciò l'adattamento è un processo sempre attivo. Noi non torniamo mai esattamente alla situazione di prima e ogni cambiamento lascia una traccia.
Dal punto di vista della sopravvivenza i processi legati all'allostasi hanno effetti protettivi a breve termine ma nel lungo termine si determina un accumulo che viene definito carico allostatico.
Se il carico allostatico diventa sovraccarico l'organismo e tutto l'individuo cominciano a soffrire.
Da studi sulla rilevanza del carico allostatico nella previsione dello stato di salute nel futuro si è rilevato che quanto più è alto il carico allostatico (cioè siamo in presenza di alti livelli di stress) tanto più alti saranno a distanza di anni i livelli di mortalità generale e di malattie cardiometaboliche e tanto più bassi saranno i livelli di autonomia (come capacità fisiche e cognitive) delle persone .
Chi invece ha un carico allostatico basso o medio basso (e cioè è meno stressato) avrà una prospettiva di vita più lunga, più libera da malattie cardiovascolari e metaboliche con migliori abilità intellettive e funzionalità fisica.

La buona notizia è che lo stress, entro certi limiti, non è causato dall'entità effettiva degli stimoli avversi che l'organismo si trova ad affrontare bensì dal valore che lo stesso organismo conferisce loro. E' legato cioè alla lettura soggettiva degli avvenimenti. Naturalmente le richieste che vengono poste all'organismo sono dati oggettivi ma le valutazioni riguardo la possibilità di farvi fronte o meno è, in molti casi, soggettiva. Questo riporta, in parte, nelle nostre mani il potere o la possibilità di affrontare le cose.
Tra i molti sistemi a nostra disposizione per aiutarci a ridimensionare lo stress, posso segnalare i Fiori di Bach che, spesso, hanno un'efficacia notevole nell'aiutare a riequilibrare gli stati emotivi. Nel mio lavoro di counselor suggerisco spesso, se la persona lo gradisce, di integrare i colloqui con l'utilizzo dei Fiori e nella gran maggioranza di questi casi ho potuto osservare quanto i due sistemi riescano ad integrarsi e quali effetti positivi si possano ottenere grazie a questo connubio.

Dalla trascrizione della conferenza che il dott Bach tenne a Wollingford nel 1936:
"Nella vita ordinaria di ogni giorno, ognuno di noi ha un proprio carattere. Questo è composto dalle nostre preferenze, dalle nostre avversioni, dalle nostre idee, dai pensieri, dai desideri, dalle ambizioni, dal modo con cui noi curiamo gli altri, e così via.
Ebbene, questo carattere non appartiene al corpo, è della mente; e la mente è la parte di noi stessi più delicata e sensibile. Perciò non dobbiamo meravigliarci se la mente con i suoi vari stati d'animo sarà la prima a mostrare i sintomi della malattia; ed essendo così sensibile, sarà per noi una guida nella malattia migliore di quella dipendente dal corpo".
E ancora, poco più avanti:
"...E infine, un'ulteriore categoria: le persone che stanno bene, forti e in salute, e tuttavia hanno le loro difficoltà.
Il lavoro di tali persone è reso più difficile dall'ansia eccessiva di fare bene, oppure si sforzano e si stancano per il troppo entusiasmo; altre hanno paura di sbagliare, immaginandosi non così abili quanto gli altri; altre sono incapaci di decidersi su quello che vogliono; altre hanno paura che succederà qualcosa alle persone a loro care; c'è chi teme sempre il peggio, persino senza alcuna ragione; ci sono quelle che sono troppo attive e senza riposo e non sembrano mai in pace; quelle che sembrano troppo sensibili e schive e nervose, e così via. Tutti questi stati d'animo, sebbene non si possano chiamare malattie, causano infelicità e ansia; tuttavia possono essere tutti corretti e una gioia accresciuta entra nella vita". 


Maria Chiara Verderi

fonti:
D. Lazzari, F. Bottaccioli, A. Damasio, J. Ledoux, C. Pert, D.J. Siegel, D. Boadella - J. Liss,  R.M. Sapolsky, R. Dawkins, V.S. Ramachandran, P.A.Levine, E. Bach

I Fiori di Bach nell'attraversare il guado

  di Achille Tironi - Volontario AHMIS (Amici Hospice Malattie Infettive Sacco) 

 

 

La conobbi attorniata da un nugolo di amici. Era distesa sul letto con il braccio sinistro consegnato ad una flebo e la sacca di alimentazione che incombeva sulla destra. Il viso aveva i tratti di una donna più vicina ai sessanta che ai cinquanta, ma da lei emanava ancora freschezza, forza e il fascino di un vissuto assaporato. Discorreva animatamente tranquillizzando i convenuti: l'espressione esibiva bagliori socratici, ma un occhio attento poteva cogliervi anche istanti di smarrimento e forse di black out interiore.

Alla presentazione di rito seguì una TAC integrale: lasciai che il suo sguardo mi scandagliasse e poi trovasse riposo nel mio che mai si era staccato dai suoi occhi. Ci eravamo incontrati e il silenzio era sufficiente a dirci che questo bastava: entrambi coltivavamo l'attesa di una conoscenza più approfondita, rimandata ad un momento meno affollato.

Nei giorni successivi aveva apprezzato il mio braccio come sostegno durante le prime escursioni in corridoio e, di ritorno, appoggiata al guanciale con un sorriso appena accennato, si disponeva a riprendere fiato e attendeva con paziente interesse qualche mia confidenza.

P. viveva uno spazio familiare ed io non ho memoria di una camera di ospedale abitata e vestita da così armoniosa presenza.

Sul tavolino aveva assiepato, con studiato distacco, i suoi strumenti di lavoro: computer, carte, libri e ricordi. Stavano lì per farle compagnia, senza imporre la loro presenza. Sul davanzale della finestra aveva disposto, come in un angolo di pasticceria, caramelle e biscotti riservati all'accoglienza di conoscenti ed amici. Aveva chiesto ed ottenuto un secondo comodino che subito aveva relegato a ridosso dell'armadio, collocandovi il materiale sanitario a lei destinato, coperto da un telo bianchissimo.

P. scandiva le ore del giorno e della notte utilizzando letto, poltrona e sedia, trascinandosi appresso, "Appesa al pennone", la sacca di alimentazione.

"Sono un'oca da ingrasso! Aspettano che cresca di peso per farmene un'altra". Riteneva che non ci fosse bisogno di precisazioni ulteriori per capire di cosa stava parlando e il sorriso si mimetizzava all'istante dentro un colpo di tosse.

La televisione era accesa solo all'orario di cena, dopo aver congedato gli amici venuti a farle visita. La ascoltava soltanto, tenendo gli occhi puntati sulla porta della stanza, perennemente spalancata.

Nel suo lavoro P. aveva riservato una collocazione centrale alle persone, proprio perchè per loro e con loro costruiva la scena, dentro la quale dava forma agli eventi che era chiamata ad organizzare.

Ma se per lei era naturale ascoltare io ritenni imperativo consentirle questo ruolo, diventando per lei una sorta di specchio destinato a riflettere le sue emozioni. Mio compito era filtrarle, attenuandone i picchi e mitigandone l'intensità.

P. conosceva i Fiori di Bach e non mi fu difficile corrispondere alle sue richieste lasciandole descrivere le emozioni con le parole che lei preferiva utilizzare. Poche parole, ben levigate come i sassi raccolti sul greto del fiume, ciascuna con dentro una storia.

Inquieta, si sentiva assalita, dilapidate delle sue energie, proprio in un momento in cui le chiamava tutte a raccolta. "Mi sento come in mezzo al guado. Mi è costato molto decidermi ad attraversarlo. Ora temo di non avere la forza di riuscire ad arrivare dall'altra parte. Guardo e mi sembra che la sponda si sposti sempre più lontano".

La malattia l'aveva aggredita con violenza ed ogni tentativo esperito per contrastarla si era rivelato inefficace. Aveva voluto conoscere con precisione il quadro clinico, condividendo con i medici di sottoporsi ad un possibile ulteriore tentativo, recuperando preventivamente la condizione per affrontarlo.

P. descriveva la sua paura come presentimento di non riuscire a raggiungere la sponda del guado e un'ansia mai provata prima la mordeva nella sua determinazione profonda (Aspen) provocandole una perdita di certezza, quasi una sensazione di svenimento. Era come se lei avesse accettato di tentare il guado senza una vera convinzione, ma solo per far piacere agli amici in camice bianco (Gorse).

Lei non era fatta così, sapeva misurarsi con la vita, dava del tu alle difficoltà senza abbassare lo sguardo: se c'era entrata, ora da questo guado intendeva pure uscire riacquistando le forze con le quali sarebbe ritornata anche la fiducia di riuscire (Olive).

Trascorsero un paio di settimane nelle quali si sforzava di coltivare ottimismo (Mustard). Mi cercava e mi ascoltava volentieri quando le raccontavo delle mie idealità di adolescente e di come la vita le avesse messe alla prova conferendo loro una concretezza inopinata.

P. si calava nel mio racconto apprezzando i colori con i quali descrivevo le mie emozioni. Lei desiderava tanto tornare a casa e ci coinvolse nella ricerca di una badante che, senza avere altre priorità, potesse assicurarle vicinanza e aiuto.

Benchè la sua situazione presentasse evidenti segnali di peggioramento lei continuò con perseveranza a definire in modo più preciso il suo obiettivo, facendo precedere al momento del suo ritorno a casa un fine settimana in casa di amici in riva al lago.

Decidemmo di sostenere questa sua attesa evitando che, per esaurimento delle forze, lei rimanesse schiacciata nella sua determinazione (Oak).

Si rendeva conto, anche se cercava di nasconderlo agli altri oltre che a se stessa, che si presentava davanti a sè una situazione che avrebbe richiesto inopinati adattamenti, capaci di minare la sua sicurezza (Walnut).

Con noi non utilizzò mai espressioni che autorizzassero a pensare che, assalita da angoscia e prostrazione, lei fosse ormai al limite. Nonostante questo modificammo la preparazione dei Fiori sostituendo Gorse, Olive, Mustard e introducendo una protezione per l'angoscia insuperabile (Sweet Chestnut).

Cercammo anche di aiutarla a rinunciare alle barriere che frapponeva alla manifestazione delle sue nuove emozioni (Agrimony) nascoste dietro un'apparente serenità. La notte non era più la stessa per lei, il fuoco dell'ansia aveva bisogno di essere spento (Mimulus) e la sua intransigenza corretta (Rock Water).

P. riuscì nel suo intento e trascorse un fine settimana in riva al lago, ospite di alcuni amici. Il rientro a casa con la badante durò poco più di una settimana e poi le complicazioni indotte dalle metastasi ormai fuori controllo la costrinsero ad un ricovero d'urgenza.

Feci in tempo a salutarla, sfiorandole la mano e leggendo il suo saluto dentro il movimento dei suoi occhi. Il giorno successivo l'accompagnammo con la preghiera.






Achille Tironi 

Integrazione di Counseling e Fiori di Bach nell'elaborazione del lutto

Integrazione di Counseling e Fiori di Bach nell'elaborazione del lutto

di Maria Chiara Verderi




Questa è la storia di quello che potrebbe essere definito da qualcuno un lutto "poco importante". Colui che se ne va, infatti, è "solo" un cane.
Tuttavia un evento doloroso come questo ha il potere di sconvolgere gli equilibri, di traghettare dolorosamente una persona da una vita tranquilla e normalmente funzionante ad un baratro di smarrimento e desolazione apparentemente senza rimedio, di mettere a confronto con il tema dell'abbandono, di rievocare lutti, reali o metaforici, del passato, di costringere a riesumare ricordi di antichi dolori che si credevano oramai superati.
Un pò come quando in mare devi alare una boa e scopri che è incredibilmente pesante, molto più pesante di quel che dovrebbe essere. Quando alla fine riesci a riportarla a bordo scopri che il peso è dovuto ai molluschi, alle alghe e alle concrezioni che si sono inaspettatamente formate al di sotto della superficie dell'acqua, fuori dalla nostra vista. 

Grazia (nome di fantasia) è una madre di famiglia tranquilla e impegnata cui, da un giorno all'altro e senza preavviso, muore il cane.
Arriva per un percorso di Counseling dietro suggerimento di una sua amica preoccupata per l'intensità con cui Grazia si è lasciata travolgere da questo avvenimento.
Grazia ha una vita piena, un figlio e un lavoro che la impegna e la appassiona, tanti amici e tanti interessi. La morte del cane però la butta in un baratro di angoscia che lei stessa per prima non comprende.


Durante il primo colloquio non fa che piangere. Piange per lo shock dovuto a quanto accaduto, certo, ma anche perchè è tormentata dal dubbio che il dolore che prova abbia un'intensità e una profondità che vanno oltre il fatto in sé e che la spaventano. Riferisce di avere crisi di panico senza apparente motivo. E' molto spaventata anche per l'effetto che l'angoscia che lei prova possa avere sul figlio.
Le propongo di aiutarsi utilizzando anche i Fiori di Bach e spiegandole l'effetto di riequilibrio degli stati emotivi che i Rimedi possono favorire. Grazia acconsente di buon grado: è proprio la percezione dello straripare straziante di emozioni e il fatto che persone a lei vicine non comprendano e giudichino "eccessiva" la sua reazione ciò che la sgomenta.
Poichè ha parlato di preoccupazione per suo figlio scegliamo insieme Red Chestnut, aggiungiamo Aspen per le crisi di panico immotivate, Star of Bethlehem per lo shock, Walnut per dare una protezione a quello che prova e per non farsi influenzare dal giudizio altrui e Sweet Chestnut per trovare sollievo alla sua angoscia in una situazione ineluttabile.
Grazia torna a casa leggermente sollevata ma mi confiderà più avanti che mai si sarebbe immaginata che questo sarebbe stato per lei l'inizio di un "viaggio emotivo" profondissimo che l'avrebbe portata a contatto con emozioni vecchissime e, apparentemente, dimenticate.

Dopo una settimana aggiungiamo Honeysuckle per stemperare la tremenda nostalgia che emerge prepotente per il suo cane, così amato, e per la vita precedente questo triste evento che, dice, non potrà mai più tornare.

Durante l'incontro successivo mi parla, stupefatta, di quanti pensieri siano emersi nel frattempo. Mi parla di tremendi complessi di colpa: "Se mi fossi curata più di lui, se lo avessi osservato meglio, se non fossi sempre così impegnata, forse mi sarei accorta che qualcosa non andava bene e avrei potuto aiutarlo, magari non sarebbe morto". Mi racconta che, dopo una crisi di panico, le venne un pensiero: "Ho paura che il mio cane mi punirà per quanto ho fatto di sbagliato nei suoi confronti e per quanto invece non ho fatto. Ma è assurdo! Lui mi amava e io amavo lui!" Mi racconta anche di quanto senta di non essersi meritata quanto le è accaduto. Cambiamo quindi mix e scegliamo di nuovo Honeysuckle per la nostalgia, ancora ben presente, Star of Bethlehem per lo shock non ancora superato e Sweet Chestnut per accettare l'inaccettabile, aggiungiamo inoltre anche Pine per il senso di colpa che la assale, Mimulus per la paura e Willow per la sensazione di amarezza che prova, la sensazione di essere una vittima.

Proseguendo con gli incontri emergono altre emozioni molto forti. Grazia mi racconta di essere stata travolta da una rabbia fortissima nei confronti sia di chi vedeva passeggiare al parco con il proprio cane mentre il suo non c'era più, sia nei confronti del suo stesso cane tanto amato ma da cui era stata abbandonata, sola, in balìa degli eventi. "Con tutto quello che ho fatto per lui, le vacanze cui ho rinunciato per non lasciarlo al canile, le fatiche per tenere pulita la casa con un cane e un bambino piccolo e, dopo tutti questi sacrifici, lui se ne va vai così, senza pensare a quello che sarebbe stato di me! Ma poi mi son sentita una persona orribile: arrabbiarsi con il mio povero cane perchè è morto! Non è una cosa terribile? E io adesso cosa faccio? Per me non c'è più nulla adesso". Prepariamo il nuovo mix con Sweet Chestnut, Pine e Honeysuckle ma aggiungiamo Holly per la rabbia, Willow per la sensazione di aver tanto fatto senza aver ricevuto il giusto in cambio e Gorse per la sensazione di non aver più voglia di continuare, di non avere più speranza.

Successivamente ecco un'altra sorpresa. Grazia mi racconta che una notte si è svegliata con una certezza: la morte del cane aveva risvegliato il dolore provato da bambina per la morte della nonna da cui si era sentita profondamente e incondizionatamente amata e che, a suo tempo, aveva soffocato e nascosto perchè era un sentimento troppo devastante e spaventoso per una bambina piccola qual'era. A questo punto si è aggiunta la paura di non riuscire più a contenere le emozioni che giorno dopo giorno erompevano e una sensazione fortissima di ingiustizia per le disgrazie accadute quando si è troppo piccoli e non si hanno ancora gli strumenti per affrontarle. Prepariamo un nuovo mix con Star of Bethlehem visto che lo shock per la morte della nonna era emerso in tutta la sua potenza, di nuovo Sweet Chestnut e Walnut, aggiungiamo poi Cherry Plum per la sensazione di perdere il controllo delle proprie emozioni e Vervain per il senso di ingiustizia "cosmico" vissuto.

Un'altra tappa nel cammino viene raggiunta quando Grazia mi racconta di aver scoperto che il dolore provato riguarda senz'altro le morti del cane, della nonna e di altre figure importanti mancate nell'infanzia e nella giovinezza ma anche altre "morti": quelle di progetti, ideali e speranze che erano state importanti per la sua vita e non si erano realizzate. Così scegliamo di nuovo Star of Bethlehem, Sweet Chestnut, Willow, Holly e Honeysuckle e aggiungiamo White Chestnut a causa del desiderio di far cessare questo continuo logorante rimuginare e Wild Rose per il senso di rassegnazione e di apatia che era subentrato a questa tempesta di emozioni.

Da questo incontro i colloqui diventano pian piano sempre meno angoscianti e, poco alla volta, si manifesta un nuovo senso di speranza che Grazia definisce "debole come un foglio di carta velina" ma che, finalmente, viene sentito presente e che si rinforzerà ogni volta un pochino di più.
Ha ancora crisi di pianto per tutte le perdite così strazianti vissute ma sono di durata sempre più breve e, insieme al pianto, fanno finalmente capolino anche il sorriso e la speranza.
Dopo pochi altri incontri Grazia ed io ci salutiamo commosse con un abbraccio fortissimo.


Abbiamo percorso insieme un tragitto molto intenso e, grazie ai fiori di Bach e alla disponibilità di Grazia di accettare e osservare tutti i sentimenti che via via sono emersi, anche quelli meno nobili o più difficili da riconoscere come propri, siamo riuscite a individuare e a dare un nome e un ordine a un magma di emozioni che apparivano tanto inestricabili da procurare spavento e, pian piano, a lasciarli andare.
Il cammino non è concluso: l'elaborazione di un lutto richiede tempo e pazienza ma Grazia si sente più forte e ritiene di poter proseguire da sola. Poichè durante i nostri incontri si è risvegliato il dolore per la perdita di persone importanti nella vita di Grazia e avvenuti in età infantile, ragioniamo insieme, nel caso questi ricordi dovessero ripresentarsi e continuare a generare angoscia, riguardo l'eventualità che Grazia ricorra ad una aiuto più profondo. Mi rendo quindi disponibile, in questo caso a indirizzarla presso psicoterapeuti che conosco e che stimo.
Grazia ed io ci siamo incontrate 12 volte. Durante le primissime volte il mix veniva cambiato ogni settimana per contenere la ridda di emozioni che la impattavano con tanta forza. Mano a mano che il nostro rapporto proseguiva il mix è stato utilizzato prima per 2 settimane poi per 3 settimane, come accade nella maggioranza dei casi.  
  
Maria Chiara Verderi