LA REGINA NERA

di Achille Tironi - Volontario AHMIS (Amici Hospice Malattie Infettive Sacco)





"La Regina". Le avevo appiccicato questo soprannome non appena incontrata. Trascorse con noi pochi giorni, giusto il tempo di fare conoscenza. La malattia se la portò via di corsa, così come ce l'aveva consegnata, senza rumore, lasciando anche in me un ricordo indelebile e per niente superficiale.

L'avevo avvicinata "seduta in trono", bellissima, nera come l'ebano. Avvolta in una vestaglia scarlatta che le scendeva fino ai piedi, aveva preso posto sulla poltrona con la spalliera alta. L'aveva voluta a ridosso della finestra e rivolta all'ingresso della camera.

L'avorio dei denti, il bagliore degli occhi e il pallore delle unghie trapuntavano di luce la sua persona.

Lei rimase sorpresa dal mio ingresso fuori protocollo: mi ero avvicinato a lei con un sorriso garbato e la mano slanciata per una stretta cordiale. Nello slancio colsi sul suo volto un "Ma dove sono finita?". Il dado era tratto e non potevo più bloccarmi senza rivelare il mio disagio.

Nella stessa mattinata già altri le avevano ronzato intorno accesi da premure diverse, ma nessuno aveva ancora osato avvicinarla con un "Ciao, benvenuta! Sono un volontario, mi chiamo Achille".

B. esitò un attimo ma si adeguò prontamente stringendomi con forza la mano. Al distacco la sua mano mi invitava a prendere posto sulla poltrona alla sua destra. Avevo osato troppo: ora dovevo ubbidire e stare a sentire.

Parlava un italiano perfetto. Il tono risoluto conferiva alle sue parole un non so che di perentorio senza essere soverchiante. Parlava e il suo dire chiedeva approvazione anche quando esprimeva richieste o poneva interrogativi. L'attitudine al comando era entrata in circolo, era in lei sangue e linfa.

Non mi parlò di lei, o almeno non lo fece come accade a me quando srotolo i ricordi, confido le mie emozioni. Non parlava di sè ma della storia, ne forniva una lettura filosofica, ne rivelava il senso guardando alla sua vicenda come a un'interpretazione riuscita, variazione su un tema al quale lei aveva aderito con tutto il cuore.

Emanava dalle sue parole il fragore di eventi che avevano dato forma alla sua giovinezza e segnato la sua maturità. Eppure tutto mi era offerto senza rammarico: una consegna inattesa, uno squarcio di chiarezza interiore, il sapore di un frutto maturo.

Lei, nel suo essere lì accanto a me, era concreta luce che ne rischiarava la comprensione, lei nata per essere lievito e consistenza, sorgente di prosperità, presenza totalizzante.

Lei ora, come una fiera ferita, accovacciata e senza lamento, puntava ancora gli occhi sulla savana prima che il sole li accendesse con i colori del tramonto.

Io stavo zitto, attento e registravo anche le pause di un racconto, così lontano dalla mia esperienza. Al momento percepivo quel profumo che emana dai libri di favole, di quelle che hanno sempre un bosco oscuro, una notte senza luna, l'orco e gli stivali delle sette leghe. Favole che non incutono angoscia e terrore ma ti avvolgono di tenerezza e tepore.

Avevo conosciuto i volti della sua famiglia, avevo sentito la voce del padre e del suo popolo, mi aveva fatto sporgere su catastrofi mostruose e, risparmiandomi ferite fisiche ed economiche, mi aveva accompagnato in fughe e percorsi di salvezza. Con lei avevo sperimentato cadute e riprese.

Impavida, nulla poteva ferirla: lei era espressione riuscita di uno slancio di grandezza che le batteva ancora nelle vene.

Conosceva ormai tutto della sua malattia e dell'appuntamento cui non poteva sottrarsi, dal giorno dello schianto sull'autostrada di S.Marino.

Non ricordo come feci ad alzarmi da quella poltrona ma, la notte, rivisitai il racconto e finii per accostarlo a parole sante e audaci:
"Quanto a me, il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele. Ho combattuto una buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione".

Quattro giorni più tardi, al corrente dell'aggravarsi del suo stato, venni a sapere che B. era vegliata dalla sorella, venuta da un paese europeo.

Entrato nella stanza trovai B. distesa nel letto, composta, gli occhi ancora luminosi, la bocca serrata. Salutai con un cenno del capo la signora che stava seduta immobile ai piedi del letto e, avvicinandomi a B. le presi la mano accarezzandola dolcemente.

Si alzò di scatto come per fermarmi ma si arrestò e si ricompose seduta non appena un respiro di gratitudine sollevò il petto di B. e con la mano mi toccò la fronte.

Rimasi vicino a lei tenendole la mano fino quando gli occhi divennero pesanti e il respiro si fece calmo e ritmato.

Ebbi modo di parlare con la sorella e fu lei ad aiutarmi a comprendere meglio la situazione per essere di conforto all'anima orgogliosa e provata della primogenita del capo di un popolo.

Continuai a portare nella sua stanza l'unico Fiore di Bach che avevo fino a quel momento suggerito come utile (Water Violet).

Avevo, infatti, incontrato una persona rara che aveva bisogno solo di tenerezza e la mia presenza fu sua compagna negli ultimi giorni.





Achille Tironi