NON C'E' PIU' NIENTE DA FARE? IL CON-SOLARE RESTA, SEMPRE

di Daniela Buvoli Scordamaglia BFRP

Relazione alla Conferenza Internazionale "Seeing Beyond - Vedere Oltre" - Padova 26 - 28 settembre 2014






Da sempre istintivamente l'uomo insegue la felicità e la qualità della vita e non pensa alla morte, per quanto rappresenti la sua destinazione finale e certa. Arriva poi un momento in cui l'uomo sente approssimarsi una data intuita e non voluta, un momento in cui sembra perdere tutte le aspettative e le speranze di un futuro perchè tutto sembra già essere deciso.
E', ad esempio, il caso di una malattia che non risponde più ad alcun trattamento attivo ed emerge la paura dell'abbandono, dell'ignoto, dell'oblio.
Quando il corpo muore l'uomo incontra la propria fragilità fisica, emotiva, mentale, spirituale.
Quando il corpo muore è la nostra vita che muore, sono le perdite, i distacchi, le paure, il Mistero.
Quando il corpo muore è forse la possibilità di fare spazio dentro di sé per trovare o ritrovare il significato del nostro esserci e del nostro lasciare.
E' dunque anche nella fragilità che gli esseri possono incontrarsi con tenerezza e compassione, riconoscendo i propri bisogni ed entrando in contatto, ognuno con la propria dimensione psicofisica e spirituale.
Vivere per non sopravvivere.
Non è certo facile offrire una presenza positiva accanto ai malati durante l'accompagnamento nel cammino, spesso travagliato, verso la fine della vita e non è possibile consigliare un comportamento standardizzato ed in tutti i casi formalmente corretto: mai come in questi momenti è evidente l'UNICITA' della persona affidata alle cure. Il momento del morire diventa l'occasione per rendere presente di nuovo ciò che si sottrae alla coscienza, l'aldilà delle cose e del tempo, il cuore delle angosce e delle speranze, la sofferenza del dialogo eterno della vita e della morte.

Dice Emily Dickinson:
C'è una solitudine dello spazio,
una solitudine del mare,
una solitudine della morte,
ma queste non sarebbero che una folla
comparata a quel luogo profondo, quella polare segretezza,
di un'anima ammessa al proprio cospetto
finita infinità.

Allora il consolare prende il suo significato etimologico di con-solere. Stare con chi è solo in questa solitudine e abbandono degli uomini e delle cose, consapevoli di noi stessi della nostra solitudine. Poi accade come quando ci si trova improvvisamente al buio e ci si prende per mano, ognuno è come l'altro e reciprocamente ci si sostiene nel cercare la via.
Nel momento di maggiore solitudine, con il corpo spezzato sulla soglia dell'infinito, subentra un altro tempo che non può essere misurato con i nostri criteri. In pochi giorni o in pochi attimi, con l'aiuto di una persona che permetta alla disperazione e al dolore di esprimersi, il malato può anche comprendere la propria vita, seguirne il filo rosso, appropriarsi del senso della propria esistenza, ne manifesta tutta la verità.
Anche un solo attimo può illuminare la storia di tutta una vita.

Nell'accompagnamento si diventa ostetrici di noi stessi, ci si apre alla tenerezza e soprattutto alla disponibilità di entrare in intimità per aprirsi a linguaggi non usuali. Non ci sono obiettivi, non si ricercano soluzioni, ma ci si lascia guidare dalle reazioni, condivisioni, emozioni dell'altro.
Respirare respiro nel respiro, sentire il ritmo del battito del cuore, accarezzare per riconoscere e incontrare non solo un corpo ma una soggettività, muoversi nello spazio del senso, che come dice Jaspers, è lo spazio della comprensione, non della spiegazione, un luogo dove il pensare, il sentire ed il volere sono in rapporto armonico tra di loro.
Uno spazio dove insieme si diventa cercatori di pietre preziose.

Nell'accompagnamento diventa essenziale essere consapevoli della nostra presenza nel qui ed ora, come esperienza radicale di noi stessi per essere liberi in una dimensione di continuo presente. Essere consapevoli che è come scendere tra i corpi delle persone, entriamo nel tessuto vivo delle loro esistenze e semplici gesti o movimenti possono trascendere la dimensione razionale consueta. E' quindi importante essere presenti e radicati a ciò che accade, sia fisicamente che mentalmente, disposti a lasciarci stupire ed umili nell'accettare che accada ciò che deve accadere, senza volere, senza forzare, ma con fiducia nell'evento che sta per compiersi, perchè la morte fa paura, è un salto nel buio, nel mistero non ancora svelato.

E' come navigare insieme, anche controvento, verso quello spazio dell'anima dove posso regalare all'altro la mia fedeltà e sa che può contare su di me.

Quando leva l'ancora il marinaio prende in mano la propria esistenza per affrontare talvolta solo e talvolta in condizioni molto dure gli elementi scatenati, contando sulla sua preparazione, la sua calma, la resistenza, l'intelligenza, l'intuizione, le sue sensazioni, il suo cuore.
Si sa che in mare, anche quando si è previsto tutto, l'imprevedibile sarà sempre all'orizzonte.
Percorrere insieme l'ultimo tratto dell'esistenza è come essere in mare e governare una barca a vela. La forza e la passione di chi l'orienta verso la meta, la tenacia di esplorare ogni possibilità, la pazienza di regolare le vele ogni volta che ce n'è bisogno non bastano. Per solcare il mare c'è bisogno di un'attenta e paziente sintonia tra mare, vento, barca, skipper ed equipaggio, che permette di attraversare l'oceano e diventa arte, sorpresa, stupore, ove nulla è lasciato al caso o alla superficialità. Ma arriva sempre il momento di navigare a vista, la più difficile delle navigazioni ove tutto ciò che si conosce con la ragione rimane sullo sfondo. Il linguaggio cambia, si è presenti con tutti i sensi contemporaneamente: con gli occhi si scruta il movimento del mare e l'orizzonte, con il tatto si percepisce il vento sulla pelle, ogni odore può indicarci un segnale, le orecchie si affinano per percepire il minimo rumore, in gola il gusto della saliva per la paura che è sempre compagna del coraggio. Si comunica nel silenzio, con piccoli cenni, con l'intuizione e con il cuore. E poi qualcuno va a prua o addirittura in testa d'albero per cercare di vedere oltre e trovare il luogo sicuro ove finalmente calare l'ancora.






Ha calato la sua  ancora Andrea, che nel simbolo di un vecchio tatuaggio, ha ritrovato il significato del suo morire. Una carpa Koi dorata, che contro la corrente impetuosa risale con coraggio le acque per riposare e rinascere nel lago dell'immortalità.
Daniela, ostetrica che tante vite ha portato alla luce, malata di SLA, rifiutando l'intubazione è stata ostetrica della propria morte, accompagnata dal mio respiro nel suo respiro faticoso, dai miei occhi in quegli occhi nei quali potevi perderti. Ancora sento il calore delle sue lacrime raccolte nelle mie mani.
Titti, angosciata dal pensiero di essere dimenticata dalla figlia di 5 anni, ha riempito i giorni di colori e di entusiasmo, trovando ogni giorno un motivo per il quale valeva la pena di vivere ancora.
Luigi, violento, egoista e aggressivo, cui il perdono di un Dio sconosciuto non era sufficiente a calmare la sua angoscia nella consapevolezza della morte che si avvicinava, in un momento magico, proprio alcune ore prima della sedazione, ha incontrato il perdono delle sue famiglie, il solo perdono che gli ha permesso di lasciarsi andare in pace.
Cosimo, che sembrava risvegliarsi dal suo intorpidimento quando gli leggevo le poesie degli indiani Navajo. Lui, vecchio figlio dei fiori, che in quelle parole in armonia con gli elementi e l'Universo, ritrovava il sorriso e il senso della sua vita.
Mireille, giovane e bellissima, accompagnata a lungo attraverso sentimenti di rifiuto, negazione, disperazione, rabbia, impotenza. Abbiamo trovato insieme un nostro ritmo nel respiro, come se inspirassi il suo dolore di non voler morire ed espirassi verso di lei un sentimento di calma e serenità che le portasse un po' di luce e di pace. Mano nella mano per non farla cadere sola in quel buio che tanto temeva.
Stefania, che dopo mille tempeste, è salita con coraggio in testa d'albero ed ha intravisto la gioia del mistero, conducendoci tutti stupiti fino alla soglia e oltrepassandola consapevole e serena.  

Ho visto occhi morenti 
Correre intorno in una stanza
In cerca di qualcosa - così sembrava -
Poi diventare opachi
E poi velarsi di nebbia,
e poi saldarsi fino in fondo 
senza aver rivelato che cosa
li avrebbe resi beati di aver visto
(E. Dickinson)

Poi, noi, noi...

.........subito si
riprende il viaggio,
come dopo
il naufragio, 
un superstite lupo di mare
(Ungaretti)

Daniela Buvoli è BFRP (Bach Foundation Registered Practitioner), counselor, insegnante di yoga e volontaria da molti anni presso l'Hospice di Casalpusterlengo. Accompagna i degenti e i loro familiari con il counseling integrato da alcuni strumenti tra cui i Fiori di Bach