COME UN FIORE

  di Achille Tironi - volontario AHMIS (Amici Hospice Malattie Infettive Sacco)

Era stato messo a dimora e cresciuto sull'Appennino parmense che ancora oggi offre suggestive visioni e scorci meravigliosi, nei quali si infrattano piccoli borghi.

Aveva con sé il profumo abitato di questo Appennino arroccato e conservava negli occhi il profondo di storie e tradizioni che modellano l'animo insieme ai crinali.

Mi ci specchiavo come la natura si riflette nei suoi laghi e fiumi briosi che, cercando spazi aperti, accolgono i rivoli dei calanchi e riportano alla luce una storia di profondità marine tutt'altro che fossile.

Tutto in quelle valli celebra la vita e l'amore, che ne è culla e cura.

F. era stato di là scalzato dopo una stagione buia e fredda, e radicato altrove. Attecchito bene era riuscito a conservare i tratti della fermezza e della ospitalità, insomma la qualità del saper vivere che, superando le strettoie del dialogico, sapeva promuovere il sapore della fraternità. Il suo nome, prezioso quanto infrequente, descriveva un programma di vita. Diffondere fragranza come un fiore.

Formato al servizio e all'ospitalità nei migliori alberghi della sua città termale, a Milano aveva saputo incontrare il mondo, la varietà delle lingue, la molteplicità delle richieste, accompagnando la risposta con ciò di cui era veramente capace. Un sorriso felice.

Venne da noi quando ormai la malattia, che lo aveva svestito della sua livrea, lo aveva già costretto da mesi in un letto. Era giunto senza più speranze, accudito da una moglie disponibilissima, spossata per la sua dedizione irrefrenabile.

Sei mesi di letto e di ossigeno, esami, accertamenti, interventi, cure e tentativi senza risultato non avevano annientato in F: la determinazione a volersi raddrizzare, reagendo alle preoccupazioni della moglie per la grave dispnea e per gli effetti della sua cronicità ostruttiva.

Centaury fu il primo fiore che preparai per lei. Olive mi sembrò il fiore più adatto per accompagnare le emozioni di F. in mese di Luglio che in città si era presentato caldo, ma con qualche brezza leggera.

La luce intensaa, le giornate lunghe crescevano in lui il desiderio di mettere i piedi a terra.

Assecondai i suoi primi tentativi, mobilizzandolo per alcuni momenti sul letto ma riprendendo quasi subito la posizione distesa, al presentarsi dei giramenti di testa, senso di nausea e dolori articolari che si accompagnano ad estenuanti sforzi.

Presa coscienza della difficoltà, predilesse per qualche tempo la posizione seduta, disteso nel letto, e quando si sentì pronto chiese di essere mobilizzato in carrozzina.

In questo periodo si accesero le sue paure di peggiorare (Mimulus), nella forma di scoraggiamento (Gorse, Sweet Chestnut) e perfino di terrore di fronte ad un esito incontrastabile (Rock Rose).
Riuscimmo nell'intento di mobilizzarlo distaccandolo dall'erogatore centrale dell'ossigeno mediante un erogatore portatile, motivando la necessità di rimanere in camera con l'urgenza di dover ricorrere a pratiche di aspirazione al presentarsi di crisi ostruttive.

Questa novità fu certamente di sollievo per lui, nello spirito prima che nel corpo ma pose in luce aspetti del suo carattere che non conoscevamo: insofferenza nei confronti di chi tardava a condividere questa sua determinazione (Beech).

Ma anche la moglie che lo aveva accompagnato nei suoi ricoveri, non riusciva più a contenere l'ossessione di non fare abbastanza e il senso di colpa di non essere riuscita a staccarlo dal fumo.

Si era sbottonata con me la coscienza perchè questo suo atteggiamento lo irritava e, quella sua paura ossessiva, la rendeva invisa al personale.

Per quanto ci provasse era più forte di lei e non riusciva ad aver ragione di questo suo modo di essere soverchiante, o come io lo definivo, da "carica garibaldina".

Si rese necessario un aiuto anche per lei, stremata da un vissuto troppo pesante e preoccupata di non essere in grado di continuare a portarlo (Elm), proteggedola nel contempo dalla aggrssività che la rendeva invisa (Vine).

Conosco per esperienza diretta la vita degli alberghi e mi risultò facile figurarmi le sue lunghe sere di servizio, occupato in tutto e in niente, disponibile per i problemi veri e le futilità di cui è pieno ogni istante. Quando le luci si spengono e si deve chiudere il giorno, un'atmosfera densa annebbia il sentire. Per fumare si deve uscire, dopo aver chiesto all'aria di invaderti i polmoni.

Insistendo nel farsi una colpa di non avergli impedito di fumare non solo lo irritava ma lo gravava di una responsabilità che nella situazione presente era ancora più difficile da portare.

Il mese di Agosto favorì le prime uscite nel parco: seduto in carrozzina, la moglie al suo fianco, lo sguardo assetato di luce e di colore, chiedeva di essere accompagnato vicino al bar dell'Università. Osservava volentieri i gatti inguattati nella siepe di bosso, snidati dai raggi del sole.

Non era nelle condizioni di parlare e quindi ci si intendeva a cenni; la luce degli occhi e il sorriso erano espressioni di approvazione; il gesticolare concitato, la chiusura degli occhi e la smorfia del viso indicavano una forma di opposizione che poteva crescere fino alla crisi del respiro.

A Ferragosto questo momento positivo, direi euforico per quanto superava ogni nostra previsione, ebbe un repentino arresto. Non sapevo darmene una ragione: anche per l'equipe la cosa non era chiara.

Una forma di risentimento si annidava nel suo animo (Willow) al punto che la nostra presenza lo disturbava. Quando varcavo l'ingresso della sua stanza chiudeva gli occhi, rimanendo immobile come una lucertola, avvolto nel sole che abbondante filtrava dalla finestra della sua camera. Non chiedeva più di essere mobilizzato nonostante le insistenze della moglie.

Dopo qualche giorno lo avvicinai da solo: si lasciò mobilizzare e lo accompagnai nel parco, con meraviglia della moglie che ci aveva seguito.

Compresi allora il motivo di questo suo "distacco": il giorno dopo i familiari avrebbero accompagnato il padre novantaquattrenne a vederlo. Non si incontravano da un anno abbondante e non era stato a lui possibile sentirlo e parlargli per telefono. Questa cosa lo aveva turbato nell'intimo, amplificando un disagio che non era riuscito a domare.

Mi riferirono che il giorno dopo tutto andò per il verso giusto, che F. si era commosso ed era stato molto contento della visita del padre. Io invece lo trovai assai provato, quasi prostrato. Mi guardai bene dal fargli domande dirette sull'argomento ma mi limitai ad assecondare le sue richieste. Mentre lo aiutavo a cenare mise di scatto le gambe sopra le sponde del letto e, con un piglio di complicità, mi fece capire che voleva andare a casa.

Lo ricomposi nel letto e con parole determinate gli feci comprendere che la cosa non era possibile, a meno che i medici decidessero di assecondarlo.

Nei giorni successivi i medici, sentita la moglie, acconsentirono al trasferimento in una struttura più vicina a casa, presentando a F. la proposta come un aiuto concreto alla moglie che si muoveva con i mezzi pubblici. Nessuno fu certo di come l'avesse presa, ma la famiglia si mosse in questa direzione.

Settembre scivolò tra alti e bassi con momenti di sopore accompagnati da un calo di lucidità (Clematis). Le sue reazioni si facevano più istintive, meno garbate, con tratti reattivi marcati (Holly). Questa soluzione non era quella che F. desiderava e, l'avere messo a fuoco l'impossibilità di un rientro domestico, lo aveva stordito.

Il mese di Ottobre lo trovò impegnato nel tentativo di dimostrare che potava stare staccato dalla cannula dell'ossigeno senza desaturare pericolosamente. Ma le crisi respiratorie non consentivano ai medici e alla intera equipe di sperare in prospettive riabilitative.

L'ultimo pomeriggio volle scendere in carrozzina e lo accompagnai per i corridoi: il meteo non concedeva altre possibilità. Salutò la moglie verso le quattro e stette in mia compagnia fino alla cena. Lo lasciai alle 18,30: non aveva voluto il vassoio ma si era limitato a chiedere un budino alla vaniglia.

Mentre lo assumeva, parlando dei medici, gli avevo confidato che una mia zia novantenne aveva così sintetizzato il suo rapporto: "Io ho più paura dei medici che delle malattie".

Trattenne a stento la risata e il suo viso si accese in un sorriso largo quale non vedevo da giorni. Lo salutai come tante altre volte, lasciando che mi stringesse le mani prendendomele in mezzo alle sue: I suoi occhi sprizzavano gioia e  bontà insieme, ricambiando l'amicizia che gli dimostravo.

Se ne andò all'improvviso e in silenzio appena mezz'ora dopo. Lo trovarono con il volto disteso e disposto al sorriso.

Quando entrai nella sua camera sanificata percepii ancora la sua presenza: il profumo abitato di un Appennino arroccato e il profondo di storie che danno sapore alla vita.



Achille Tironi