BURNOUT E FIORI DI BACH

di Maria Chiara Verderi

 

Il termine burnout (dall'inglese "bruciato", "scoppiato") viene coniato dai giornalisti sportivi anglosassoni negli anni '30 per descrivere la situazione di un atleta che, dopo una serie di successi, a causa del venir meno degli stimoli motivazionali, pur essendo in ottima forma fisica non è più in grado di ripetere i precedenti risultati.
Trasposto in ambito psicologico, questo termine viene utilizzato per indicare particolari situazioni critiche in ambito lavorativo, specialmente per quanto riguarda le professioni ad elevata implicazione relazionale.
Lo psicologo Herbert Freudenberg per primo nel 1974 utilizza questo termine per descrivere le condizioni di esaurimento fisico ed emotivo riscontrata tra gli operatori impegnati nelle professioni d'aiuto. In queste professioni gli operatori si fanno carico di grandissime responsabilità e sono costretti ad orari prolungati e ritmi di lavoro molto intensi. Inoltre il contatto con la sofferenza dell'utente è continuo e richiede una non comune capacità di prendersi carico del dolore altrui. L'esposizione a troppe emozioni, soprattutto negative ed intense, porta l'innescarsi di presupposti che favoriscono lo stress.
Gli studi più approfonditi sul burnout nella sanità sono stati condotti dalla dottoressa Christina Maslach a partire dal 1982.
La dottoressa Maslach evidenzia tre categorie di sintomi che evidenziano la fase conclamata della sindrome del burnout:
  1. comportamenti che testimoniano un forte disinvestimento sul lavoro (assenze, ritardi frequenti, alta resistenza a recarsi al lavoro, scarsa creatività, resistenza ai cambiamenti,...).
  2. comportamenti autodistruttivi (disturbi di carattere psicosomatico o del comportamento, diminuzione delle difese immunitarie, senso di stanchezza ed esaurimento, depressione,  senso di colpa, apatia, irrequietezza, insonnia, nervosismo, vere e proprie patologie come ulcere, cefalee, difficoltà sessuali, aumento o diminuzione ponderale,  aumento della propensione agli incidenti,...)
  3. comportamenti distruttivi diretti all'utente (indifferenza, violenza, crudeltà, cinismo, spersonalizzazione,...)
Gli psicologi del lavoro già da molti anni hanno notato che il contesto sociale e lavorativo, principalmente quello degli operatori dell'aiuto, è quello maggiormente in grado di attivare risposte di stress sia dal punto di vista comportamentale sia da quello fisiopatologico.
La sindrome del burnout, tuttavia, si differenzia dallo stress (che infatti può, al più, essere una sua concausa) e anche dalle diverse forme di nevrosi in quanto non può essere considerato un disturbo della personalità. Deve invece essere considerata una malattia correlata principalmente all'attività lavorativa e come tale da prevenire in quanto conduce inevitabilmente ad una diminuzione delle capacità professionali.
Poichè tutte le attività lavorative implicano contatti interpersonali e quindi un certo livello di tensione, oggi non si fa più riferimento solamente al rapporto tra operatore dell'aiuto e utente bensì al rapporto di qualunque professionista con il suo lavoro. Oggi, infatti, si parla di Job Burnout.
Secondo la dottoressa Maslach le cause possono essere ricondotte a tre grandi variabili:
  1. VARIABILI ORGANIZZATIVE - riguardano le modalità di funzionamento dell'attività e possono svilupparsi quando si verifica una decisa discordanza tra la natura del lavoro e quella della persona che svolge il lavoro. Ad esempio: sovraccarico di lavoro, mancanza di controllo sul proprio lavoro, mancanza di riconoscimenti, mancanza di equità, conflitti di valori, scarsa integrazione sociale,....
  2. VARIABILI INDIVIDUALI - sebbene non esista una personalità-tipo, possono però essere individuate una serie di caratteristiche che rendono la persona più predisposta al burnout: ansia, stile di vita competitivo, rigidità mentale, introversione, bassa autostima,...
  3. VARIABILI SOCIALI - sono i fenomeni sociali tipo il progressivo sfaldarsi del tessuto sociale  che, a causa del declino della vita comunitaria e della famiglia patriarcale, ha comportato la riduzione o la scomparsa degli spazi di sostegno informale rappresentati da parenti, amici, persone con cui era possibile condividere affetti e interessi e che rappresentavano un punto fermo di sostegno importantissimo. Tutto questo comporta una maggior fragilità negli individui.
Le conseguenze sono, sempre secondo la Maslach, uno stato di esaurimento emotivo, di depersonalizzazione e di ridotta realizzazione personale.

Il burnout è un processo che non si manifesta improvvisamente ma si instaura in modo talmente graduale che chi ne è soggetto spesso ne è inconsapevole, sente che qualcosa non va ma a volte non è in grado di quantificare o qualificare il suo disagio e continua a lavorare cercando di ignorare questa sensazione. Il rischio, purtroppo, è più elevato nelle persone maggiormente dotate di capacità personali e che idealizzano il proprio lavoro. Possiamo quindi immaginare la portata del problema in ambiente ospedaliero, un ambiente in cui la cura delle persone sofferenti è il punto centrale e in cui non ci si può permettere di perdere questo tipo di operatori.
Il processo di insorgenza si sviluppa in quattro fasi distinte:
  1. ENTUSIASMO IDEALISTICO - le motivazioni che hanno spinto la persona a scegliere proprio quel tipo di lavoro
  2. STAGNAZIONE - quando si scopre che il lavoro non soddisfa del tutto i bisogni dell'operatore per cui si passa da un superinvestimento iniziale ad un graduale disimpegno
  3. FRUSTRAZIONE - in questa fase il pensiero dominante è quello di non essere più in grado di aiutare nessuno
  4. DISIMPEGNO EMOZIONALE - si verifica un graduale passaggio dall'empatia all'apatia. Questa è una vera e propria morte professionale dell'operatore.
La sindrome del burnout non riguarda solo la persona che ne è soggetta ma si comporta come una specie di malattia contagiosa che si propaga da un operatore all'altro. Ci si può facilmente rendere conto che in casi del genere le conseguenze avranno un forte impatto a livello degli operatori, a livello dell'utenza, a livello dell'azienda e a livello dell'intera comunità.
Proprio per questi motivi l'obiettivo cui ogni azienda dovrebbe mirare è quello di individuare e trattare al più presto i lavoratori sofferenti, rilevare l'effettiva diffusione del problema, offrire agli operatori corrette informazioni e una formazione adeguata per far fronte al fenomeno, promuovere spazi dedicati alla conoscenza di se stessi, delle proprie aspettative, dei propri punti di forza e debolezze, promuovere corsi per aumentare le competenze emotive e istituire gruppi di ascolto e di auto-mutuo-aiuto.
Ogni operatore dovrebbe imparare a riconoscere i propri limiti nella gestione delle sofferenze altrui e, in caso di dubbi, cercare aiuto.

Molti sono gli strumenti che possono essere utilizzati per la prevenzione di questo fenomeno: interventi psicologici e di counseling, tecniche corporee, tecniche di modulazione dello stress.
I Fiori di Bach sono un'eccellente strumento di riequilibrio degli stati emotivi, quindi, per questo problema come per molti altri, possono aiutare e affiancare armoniosamente ogni altra tecnica e cura.
La semplicità del metodo originale del dott. Bach lo rende uno strumento facilissimo da apprendere e che è possibile utilizzare in completa autonomia. D'altra parte questo fu uno dei più grandi desideri del dott. Bach: mettere ogni persona in condizione di poter aver cura di sè per ottenere serenità e benessere.
Nel 1936 a Wallingford, durante una conferenza, dichiarò: "Questo sistema terapeutico è stato realizzato, divulgato e donato gratuitamente affinchè tutti possano curare se stessi". 
E' un metodo sicuro e senza controindicazioni, non interagisce con le cure mediche o psicologiche o con i farmaci.
Basta individuare gli stati emotivi che procurano disagio e concentrarsi solamente su quelli, ignorando i sintomi fisici, per poter comporre un bouquet di rimedi adatti ad ogni possibile alterazione emotiva. Questo è il metodo originale che il dott. Bach ha messo a punto grazie ad anni ed anni di attenti studi e pazienti osservazioni e che il Bach Centre tramanda e divulga in tutta la sua originalità e purezza.
I Fiori di Bach sono entrati nel nostro Hospice da parecchi anni oramai. Sono presenti in ciotole d'acqua nelle camere di ogni degente, sono presenti in ciotole nei locali delle infermiere, amici discreti e benevoli, sempre a disposizione di chiunque ne faccia richiesta, in qualsiasi momento.

Stefan Ball nel suo libro "Floriterapia di Bach" scrive:
"I rimedi floreali del dott. Bach, noti in Italia con il nome suggestivo di Fiori di Bach, sono in tutto 38 e ciascuno interessa un particolare stato mentale o emotivo. Non curano direttamente la malattie a livello fisico, ma ripristinano una condizione di armonia mentale grazie alla quale le naturali difese dell'organismo possono svolgere più efficacemente il proprio compito." 
"I Fiori di Bach costituiscono un sistema completo, perchè trattano le emozioni e non gli eventi che provocano. Non sono rimedi di oggi, di ieri o del futuro, ma sono sempre validi". 


Maria Chiara Verderi

 

fonti:
Burnout - C. Maslach, M. Leiter, F. Pellegrino, A. Valdambrini, G. Contessa, M. Tronci, F. Lamanna, D. Galati, O. Fassio, M. Viglino
Fiori di Bach - E. Bach, N. Weeks, S. Ball